Gallina Padovana
 

gallinapadovana.jpg (181348 byte)Una lunga barba, i favoriti sulle guance e un ciuffo di penne lunghe e lanceolate che si aprono a corolla e le piovono sugli occhi: come una specie di gran crisantemo spuntato sul capo e sostenuto da una cupoletta cranica. Le narici rosse e carnose che incorniciano il becco e la vista quasi oscurata: la Padovana si orienta sbirciando tra le penne e questo spiega il suo esitante deambulare. Può essere nera, bianca, dorata, camosciata o argentata. La diatriba sulla sua origine non si è mai conclusa, ma fra tutte c’è un’ipotesi più probabile di altre. Nel Trecento il marchese Giacomo Dondi dall’Orologio, medico e astronomo padovano, durante una visita in Polonia, ne avrebbe preso alcuni capi per arredare il giardino della sua villa gentilizia.
La decadenza della Padovana inizia già dopo il 1700. Ai primi del Novecento ci ne sono ancora alcune migliaia di capi, ma negli anni Sessanta scompaiono quasi definitivamente. In Europa sopravvive in piccoli allevamenti amatoriali e in Italia la conserva l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente “San Benedetto da Norcia” di Padova. Per la gallina nasce un’associazione, la Pro Avibus Nostris, che riunisce sei aziende. Le galline all’inizio sono solo uno sfizio, ma poi il Presidio parte e, poco per volta, la Padovana trova un suo piccolo mercato: entra nel menù dei ristoranti della città, nelle pollerie e nei negozi specializzati. Il disciplinare prevede un minimo di quattro metri quadrati di pascolo e un’alimentazione a base di granaglie (mais soprattutto). Un marchio registrato garantisce la Padovana del Presidio: ogni animale ha un anellino con il numero dell’allevamento ed esce dal macello accompagnato da un’etichetta, da un pieghevole e, per i ristoratori, da sei cialde commestibili, che sono sistemate sul piatto di portata accanto a ogni porzione.

A tavola

La pelle è sottile e la carne morata (non candida come quella cui è abituato il consumatore), simile piuttosto a quella del fagiano o della faraona. La preparazione più classica ricorda la francese poularde en vessie, cotta nella vescica del maiale e servita con salsa suprême e riso pilaf. Ma il sofisticato ripieno della gallina a la canavéra, giocato su un delicato equilibrio fra salato, dolce (della mela Golden), agro (di arancia e limone) e speziato, ricollega piuttosto la sua origine agli esotismi della vicina Venezia. La canavéra è la piccola canna di bambù che permette al liquido di cottura di evaporare parzialmente. Poi la gallina si chiude in un sacchetto (un tempo si usava la vescica del maiale) e il sacchetto si immerge in una pentola di acqua, lasciando fuoriuscire la canavéra per almeno dieci centimetri. La Padovana deve sobbollire a fuoco lento per oltre due ore, formando un denso brodo di cottura, un concentratissimo consommé da versare a cucchiaiate sulla carne. Si può servire con una salsa di cren appena ingentilita con mela verde.