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Gallina Padovana
Una lunga barba, i favoriti
sulle guance e un ciuffo di penne lunghe e lanceolate che si aprono a corolla e
le piovono sugli occhi: come una specie di gran crisantemo spuntato sul capo e
sostenuto da una cupoletta cranica. Le narici rosse e carnose che incorniciano
il becco e la vista quasi oscurata: la Padovana si orienta sbirciando tra le
penne e questo spiega il suo esitante deambulare. Può essere nera, bianca,
dorata, camosciata o argentata. La diatriba sulla sua origine non si è mai
conclusa, ma fra tutte c’è un’ipotesi più probabile di altre. Nel Trecento il
marchese Giacomo Dondi dall’Orologio, medico e astronomo padovano, durante una
visita in Polonia, ne avrebbe preso alcuni capi per arredare il giardino della
sua villa gentilizia.
La decadenza della Padovana inizia già dopo il 1700. Ai primi del Novecento ci
ne sono ancora alcune migliaia di capi, ma negli anni Sessanta scompaiono quasi
definitivamente. In Europa sopravvive in piccoli allevamenti amatoriali e in
Italia la conserva l’Istituto Professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente “San
Benedetto da Norcia” di Padova. Per la gallina nasce un’associazione, la Pro Avibus Nostris, che riunisce sei aziende. Le galline all’inizio sono solo uno
sfizio, ma poi il Presidio parte e, poco per volta, la Padovana trova un suo
piccolo mercato: entra nel menù dei ristoranti della città, nelle pollerie e nei
negozi specializzati. Il disciplinare prevede un minimo di quattro metri
quadrati di pascolo e un’alimentazione a base di granaglie (mais soprattutto).
Un marchio registrato garantisce la Padovana del Presidio: ogni animale ha un
anellino con il numero dell’allevamento ed esce dal macello accompagnato da
un’etichetta, da un pieghevole e, per i ristoratori, da sei cialde commestibili,
che sono sistemate sul piatto di portata accanto a ogni porzione.
A tavola
La pelle è sottile e la carne
morata (non candida come quella cui è abituato il consumatore), simile piuttosto
a quella del fagiano o della faraona. La preparazione più classica ricorda la
francese poularde en vessie, cotta nella vescica del maiale e servita con salsa
suprême e riso pilaf. Ma il sofisticato ripieno della gallina a la canavéra,
giocato su un delicato equilibrio fra salato, dolce (della mela Golden), agro
(di arancia e limone) e speziato, ricollega piuttosto la sua origine agli
esotismi della vicina Venezia. La canavéra è la piccola canna di bambù che
permette al liquido di cottura di evaporare parzialmente. Poi la gallina si
chiude in un sacchetto (un tempo si usava la vescica del maiale) e il sacchetto
si immerge in una pentola di acqua, lasciando fuoriuscire la canavéra per almeno
dieci centimetri. La Padovana deve sobbollire a fuoco lento per oltre due ore,
formando un denso brodo di cottura, un concentratissimo consommé da versare a
cucchiaiate sulla carne. Si può servire con una salsa di cren appena ingentilita
con mela verde.
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