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Caciofiore della Campagna Romana
“Conviene coagulare il latte
con caglio di agnello o di capretto, quantunque si possa anche rapprendere con
il fiore di cardo silvestre o coi semi del cartamo o col latte di fico. In ogni
modo il cacio migliore è quello che è stato fatto col minimo possibile di
medicamento” così affermava nel 50 d.C. lo scrittore latino Lucio Giunio
Moderato Columella nel suo “De Re Rustica”. L’uso del cardo selvatico al tempo
dei romani era una pratica di caseificazione assai diffusa. Ora, nella campagna
romana, dove il cardo e il carciofo hanno il loro habitat naturale, è ripresa
una nuova produzione: cinque produttori utilizzano il “fiore” di cardo,
appositamente coltivato, come caglio e ripropongono pecorini a latte crudo dal
sapore antico. Il caciofiore era presente nella bibliografia sino a pochi anni
or sono in Abruzzo e nelle Marche, ma è il Lazio la sua terra di origine: il
Presidio intende sostenere questo progetto di recupero. Il caciofiore si può
considerare una sorta di antenato del Pecorino Romano ma è realizzato immergendo
nel latte crudo, intero, il caglio vegetale ottenuto dal fiore di carciofo o di
cardo selvatico (Cynara cardunculus o Cynara scolimus) raccolti nel periodo
estivo. I fiori vanno raccolti in giornate soleggiate e secche quando sono
completamente fioriti e hanno una colorazione viola intenso. Devono essere
tagliati con 15-20 centimetri di gambo per poterli legare e appendere a testa in
giù, al buio, per l’essiccazione. Dopo 15-20 giorni, si sfilano gli stami stando
attenti a non romperli e si conservano sottovuoto. La preparazione del caglio si
conclude facendo macerare gli stami essiccati in acqua (per un quintale di latte
si preparano 60-80 grammi di stami messi a macerare in 800 ml di acqua per 24
ore) e filtrando il macerato che va aggiunto, in infusione, al latte. Grazie
all’azione proteolitica degli enzimi del fiore, dopo circa 60-80 minuti avviene
la coagulazione del latte.
Si procede quindi alla prima rottura della cagliata in cubetti (di circa cinque
centimetri per cinque) con una lama lunga e liscia. Si lascia riposare ancora
per 15-20 minuti e si procede quindi con una seconda rottura che avviene con il
mestolo forato. In questo caso, essendo la consistenza della pasta simile ad un
budino, i pezzi risultano irregolari e grossolani, grandi quanto una noce. La
cagliata così ottenuta si adagia nelle fuscelle di forma quadrata per far
spurgare il siero. Il giorno seguente, il formaggio ottenuto viene salato a
secco con sale marino e trasferito nel locale di stagionatura. La stagionatura
si protrae dai 30 ai 60 giorni. Durante questo periodo le forme vanno rigirate
almeno una volta al giorno per evitare un eccessivo sviluppo di muffe in
superficie. Il formaggio così ottenuto ha la forma di una mattonella di circa 10
centimetri di lato, con uno scalzo convesso di 4, 5 centimetri, il peso è
intorno ai 400 grammi. La crosta grinzosa e giallognola racchiude una pasta
morbida e compatta con lievi occhiature e un cuore di formaggio dalla cremosità
sorprendente. Il profumo è profondo e ricco con sentori di carciofo e verdure di
campo, il sapore è intenso, non salato, lievemente amaro, avvolgente e con una
nota grassa equilibrata. La produzione avviene solo da ottobre a giugno.
I produttori del Presidio allevano pecore prevalentemente di razza Sarda e
Comisana, con una presenza minima di meticce, Massesi e Sopravvissane e, in una
parte dell’anno, le lasciano libere di pascolare in quello che resta dell’agro
romano, un tempo fitto di greggi che qui svernavano in attesa di trasferirsi in
estate sulle montagne d’Abruzzo.
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