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Bitto "Valli del Bitto"
Il Bitto è, senza dubbio, uno
dei simboli della produzione casearia lombarda: formaggio di grande tradizione e
straordinaria attitudine all’invecchiamento, è legato in maniera profonda alle
montagne da cui prende origine. Il nucleo storico della sua produzione si trova
nelle valli formate dal torrente da cui prende il nome: Gerola e Albaredo, in
provincia di Sondrio. Il formaggio che si produce negli alpeggi di queste valli,
a un’altitudine che va dai 1400 ai 2000 metri, conserva caratteristiche
speciali. I caricatori, infatti, sono impegnati nel mantenimento di tutta una
serie di pratiche tradizionali che esaltano la qualità del formaggio, oltre a
svolgere un ruolo basilare nella conservazione dell’ambiente e della
biodiversità alpina. Innanzitutto, si pratica il pascolo turnato: nei tre mesi
di alpeggio, la mandria è condotta attraverso un percorso a tappe, che va dalla
stazione più bassa a quella più alta. Lungo la via, i tradizionali calècc –
millenarie costruzioni in pietra che proteggono la zona di caseificazione-
fungono da baita di lavorazione itinerante, sempre a portata di mano, in modo
che il latte non debba viaggiare, se non per pochi metri, e possa essere
lavorato prima che il suo calore naturale si disperda. Un’altra pratica,
promossa dai produttori delle Valli del Bitto, è la monticazione, insieme alla
mandria bovina, delle capre Orobiche. Il latte di questi animali entra per un
10, 20% nella produzione del Bitto e gli conferisce una speciale aromaticità e
persistenza. Per assicurare il massimo controllo delle condizioni sanitarie del
bestiame, i monticatori mungono solo a mano. La salatura del formaggio avviene
preferibilmente a secco; in questo modo si forma una crosta più delicata,
garanzia di una migliore maturazione. E’inoltre espressamente vietato l’uso di
integratori nell’alimentazione dei bovini e l’uso di additivi, conservanti o
fermenti selezionati nella produzione del formaggio. Il Presidio nasce per
valorizzare la produzione d’alpeggio ottenuta nell’area storica: le Valli di
Albaredo e Gerola. Le pratiche portate avanti dagli aderenti se da un lato hanno
un effetto positivo sia sulla qualità del formaggio sia sull’ambiente,
dall’altro, comportano un deciso aumento delle energie e delle risorse
impiegate. E’ necessario che questa situazione sia riconosciuta anche dal
mercato, e che i produttori ricevano la giusta remunerazione per il loro
fondamentale lavoro di conservazione del territorio. L’ambiente montano degli
alpeggi, infatti, una volta abbandonato, si degrada in modo rapido e
recuperarlo, nel giro di alcuni anni, diventa praticamente impossibile. Da
quest’anno inoltre, solo le forme giudicate di eccezionale qualità e quindi
adatte a un particolare invecchiamento, saranno marchiate a fuoco
dall’Associazione “Produttori Valli del Bitto”. Il Bitto entra come ingrediente
fondamentale, assieme al burro, al grano saraceno e alle verze nella
composizione del piatto simbolo della Valtellina, i pizzoccheri. Un trionfo dei
sapori della montagna, una bomba calorica che si può metabolizzare soltanto se
la ricetta fa parte del DNA personale o se si scalano quelle stesse montagne da
cui ha origine. Ma sarebbe ingiusto relegare uno dei più nobili formaggi
italiani al rango di condimento: il Bitto giustamente stagionato è straordinario
da tavola, e quando poi si prolunga l’affinamento per 6, 7 anni o più, diventa
uno dei rarissimi formaggi da meditazione del mondo. Il matrimonio d’amore con
questo prodotto è lo Sfurzat della Valtellina, il vino ottenuto con
l’appassimento delle locali uve nebbiolo. Ma tutti i grandi vini passiti o
addizionati di alcol (Porto, Jerez, Beerenauslese, Marsala, Ice Wine) si
esaltano nel connubio con le complesse e lunghissime note gustative di un Bitto
stravecchio.
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